Molte aziende italiane si limitano a inviare un questionario ai fornitori o a raccogliere documentazione minima per la due diligence. Un approccio utile, ma insufficiente: i rischi legati a partner esterni evolvono costantemente, e senza un processo strutturato è impossibile avere una visione reale della propria esposizione.
Un vero programma di Third Party Risk Management (TPRM) deve essere continuo, scalabile e integrato con la governance aziendale. In questa guida vediamo come costruirlo passo dopo passo, quali strumenti adottare e come una piattaforma tecnologica può semplificarne la gestione.
Ogni progetto di TPRM parte dall’alto. Senza un chiaro commitment della direzione aziendale, i team operativi rischiano di muoversi in modo frammentato.
Definisci una policy TPRM approvata dal board.
Stabilisci ruoli e responsabilità: compliance, procurement, IT, risk management e audit devono lavorare insieme.
Identifica soglie di rischio accettabili, in linea con la propensione al rischio dell’azienda.
Non si può gestire ciò che non si conosce. La mappatura è la base del programma.
Crea un inventario centralizzato di tutti i fornitori, partner, consulenti e outsourcer.
Classifica i fornitori in base al tipo di servizio, accesso ai dati, criticità per il business.
Segmentali per livello di rischio: alto, medio, basso.
Questa fase serve a raccogliere dati affidabili e confrontabili.
Questionari personalizzati (modulari, in base al livello di rischio).
Analisi finanziaria: bilanci, solvibilità, eventuali pendenze legali.
Controlli su liste di sanzioni e watchlist internazionali.
Fonti reputazionali: rassegna stampa, social, database di rischi ESG.
La valutazione deve essere oggettiva, ripetibile e basata su metriche standard.
Calcola il rischio intrinseco (probabilità × impatto) per ogni fornitore.
Valuta i controlli già presenti (contrattuali, tecnici, organizzativi).
Stima il rischio residuo dopo le mitigazioni.
Una volta identificati i rischi, bisogna agire.
Prevedi clausole contrattuali specifiche (es. GDPR, SLA di sicurezza, obbligo di segnalazione incidenti).
Richiedi piani di remediation ai fornitori ad alto rischio.
Definisci KPI e KRI (indicatori di performance e di rischio) per monitorare i rapporti.
Il rischio cambia: una due diligence “una tantum” non basta.
Feed automatici di dati finanziari e reputazionali.
Alert in tempo reale in caso di eventi critici (fallimenti, sanzioni, cyber attack).
Aggiornamento periodico dei questionari.
Il TPRM deve evolvere insieme all’azienda.
Audit periodici interni ed esterni.
Reportistica al top management con andamento dei rischi.
Lezioni apprese da incidenti o anomalie.
Un approccio manuale è lento e soggetto a errori. Una piattaforma TPRM come WOZ’ON consente di:
Automatizzare oltre 50 controlli già pronti.
Centralizzare dati e documenti in un’unica dashboard.
Attivare sia report spot che monitoraggio continuo.
Ridurre inefficienze e duplicazioni tra funzioni aziendali.
Risultato: più tempo per l’analisi strategica e meno attività operative ripetitive.
Un programma TPRM non si costruisce in un giorno: richiede metodo, governance e tecnologia. Ma i benefici sono chiari:
Maggiore conformità normativa.
Migliore gestione dei rischi.
Risparmio di costi e tempi.
Rafforzamento della reputazione aziendale.
Il Third Party Risk Management in Italia è oggi fondamentale per gestire fornitori e partner. Una piattaforma TPRM consente di ridurre i rischi di non conformità, migliorare la sicurezza e garantire compliance a normative come GDPR e D.Lgs. 231/2001.
Scopri come implementare un programma TPRM completo: mappatura dei fornitori, due diligence, valutazione del rischio e monitoraggio continuo. Una guida pratica per migliorare compliance normativa e gestione del rischio terze parti.
Meglio un report TPRM spot o un monitoraggio continuo? Analizziamo vantaggi e limiti dei due modelli per la gestione del rischio fornitori, con consigli pratici per scegliere la soluzione più adatta alla tua azienda.